Fino ad ora, in articoli come “Distopia e tecnologia” , “È arrivata la domotica negli appartamenti” e “Noi e la tecnologia indossabile“, ho descritto di come dietro la tecnologia da supermercato si celino sofisticati sistemi di immagazzinamento ed elaborazione dati.

I dati elaborati siamo noi, con le nostre abitudini, le personali informazioni che conserviamo o scambiamo e tutto il nostro interagire con il mondo, che passa su sistemi di comunicazione informatici quali smartphone e computer.

Per questioni meramente pratiche è però palese che non possiamo sottrarci all’uso di determinati strumenti. È impensabile immaginare di non usare più il cellulare per fare foto e video o il PC per scrivere o gestire la fatturazione di un’attività. Con entrambi inoltriamo e riceviamo email e messaggi.

È altrettanto vero però che ci possiamo organizzare per proteggere il più possibile la nostra riservatezza.

Uno dei servizi che ultimamente sta dilagando è il così detto “cloud”. In sintesi si tratta della possibilità d’usufruire di uno spazio su un hard disk remoto, su cui poter trasferire e conservare i nostri file, siano essi foto o documenti digitali. È comodo perché tali servizi si agganciano al PC e al telefono, in alcuni casi anche al televisore, e consentono d’avere sempre disponibile il proprio archivio digitale, ferma restando la necessità di disporre una connessione a internet.

Allo stesso tempo i nostri file sono nella reale disponibilità del fornitore del servizio e sono a reale rischio di furto, come ad esempio è successo ultimamente ad alcune VIP americane, le cui foto private sono state rubate dai loro account cloud.

Gli strumenti per mettere in piedi un cloud personale oggi esistono e non sono molto dispendiosi. Al tempo stesso la quantità di spazio disponibile è decisamente superiore, come maggiore è la privacy. L’unica limitazione può essere la velocità di trasferimento dati, in quanto tale apparecchiatura va integrata nella propria rete internet domestica o in azienda/ufficio. In questi posti la velocità di connessione dati verso l’esterno è molto più bassa di quella presente nelle server farm che gestiscono i servizi cloud.

Non faccio elenchi di software e hardware o di marchi che forniscono sistemi già semi  pronti per l’uso. Per questo genere di informazioni rivolgetevi a un buon tecnico o società di informatica e sapranno consigliarvi adeguatamente.

Prima di concludere vi ricordo che in informatica la sicurezza assoluta non esiste. Vi è sempre una rincorsa tra chi cerca di infiltrarsi in faccende non sue e chi si protegge. Con un personal cloud si esce dalla mischia.

AM
Benevento, 26 settembre 2014

1 thought on “come e perché creare un cloud privato

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