Trame e storie ambientate in contesti distopici hanno affascinato molti amanti di film come “Blade runner”,”Matrix” o “L’esercito delle 12 scimmie” e voraci lettori di libri come “Fahrenheit 451”, “Non lasciarmi” e “Abissi d’acciaio”.
L’elenco è chiaramente molto esemplificativo, serve solo a introdurvi più rapidamente nello scenario che sto per descrivere.
Chi mi conosce o segue ciò che scrivo, ben sa che pur lavorando a stretto contatto con la moderna tecnologia, cerco di trattarla, anzi “maneggiarla”, con il giusto distacco.
In questi ultimi tempi, riflettendo su ciò che leggo, sull’esperienza lavorativa accumulata e sugli episodi d’interazione con altri, ho la sensazione che i paesi i cui l’accesso all’innovazione tecnologica da supermercato è largamente diffusa fra la popolazione, come un mansueto gregge si stiano dirigendo verso un recinto che di virtuale ha poco. Esso è stato predisposto dalla stessa tecnologia a cui sono oramai assuefatti e divenuti dipendenti, come se si trattasse di una qualsiasi sostanza più o meno stupefacente. Sia chiaro che la tecnologia da supermercato è la diretta derivazione di tecnologie molto più sofisticate alle quali accedono solo gli addetti al servizio.
Il metaforico recinto di cui parlo è l’insieme delle comunicazioni che ci legano l’un l’altro intrecciando fra loro persone sconosciute, ma non per questo non in relazione. Ad un primo approccio sembra tutto molto accattivante. Ogni persona è potenzialmente in grado di conoscere chiunque ed è in grado di comunicare in tempo reale sensazioni, emozioni e anche informazioni di servizio. Ma c’è sempre un rovescio della medaglia. Quel che vi leggo io è la dipendenza da strumenti e tecnologie senza le quali nei prossimi anni ci sentiremo persi.
Immaginate di dovervi spostare per diverse ore dalla vostra quotidianità. Ad esempio uno spostamento non previsto in un’altra città nella quale starete fino a sera. Ora immaginate di scordarvi il cellulare a casa/ufficio e dover affrontare tale viaggio da soli, usando un mezzo di trasporto pubblico, che non si ferma o vi porta indietro per farvi recuperare l’oggetto dimenticato. Sono sicuro che a molti sarà già salita l’ansia al solo pensiero di non poter telefonare a casa, all’amico/a, in ufficio o non poter leggere per un’intera giornata la posta elettronica, ma anche i messaggi e soprattutto Facebook.
Ora che vi siete calati nella situazione potete comprendere a cosa mi riferisco quando parlo di recinto costruito dalla tecnologia. Vi siamo tutti dentro fino al collo, volente o nolente.
Adesso si deve mettere a fuoco il concetto che tali comunicazioni sono possibili perché vi sono aziende che hanno costruito reti di antenne e potenti computer gestiti da specifici programmi in grado di gestire e scambiare tutto il traffico delle informazioni che si crea nel recinto. Oggi più di prima sappiamo che la gestione dell’informazione è alla base del potere politico ed economico. Chi ci consente la comunicazione è in grado di filtrarla, leggerla e usarla.
Il grande recinto nel quale stiamo entrando vive della nostra necessità di comunicare, ma con il tempo avrà forza e credibilità sufficiente per indirizzare la nostra comunicazione e le nostre idee, i nostri gusti, le nostre voglie e desideri.
Bene, penso di aver reso la mia paura espressa nel titolo, il riferimento alle opere citate e di avervi reso coscienti su ciò che tutti noi stiamo facendo.
AM
Benevento, 28 marzo 2014
2 thoughts on “Distopia e tecnologia”
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