Alfredo Martinelli & dintorni
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la fioraia
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La conobbi al negozio dei fiori. Ero lì per comprare una rosa per la festa della mamma, che era stata il giorno prima. Da ragazzino non avevo tanti soldi da gestire e il giorno dopo le ricorrenze comandate i fiori costavano sempre un po’ in meno. Mia madre un po’ se la prendeva, ma non più di tanto, perché sapeva d’avermi insegnato lei a essere accorto alle spese. La ragazza dietro al banco era visibilmente più grande di me, ma non capii subito che era anche la proprietaria della fioreria. Mi chiese un paio di volte cosa volessi, perché la prima volta ero più intento a seguire il movimento delle labbra, che non la voce. “Una rosa, sì, un rosa … grande” dissi impacciato nel tentativo di riprendere il controllo. “E per chi è?” mi chiese. Andai totalmente in palla: in quelle poche frazioni di istanti fui sicuro nel non voler dire “è per mia madre“, mi avrebbe fatto apparire goffo e mammone, però se le avessi risposto una bugia del tipo: “è per la mia ragazza” avrei perso la possibilità di corteggiarla, ma al contempo sapevo che una ragazza più grande, già con un lavoro e bella come le principesse nelle fiabe, non sarebbe mai uscita con me. Me la cavai o così immaginai, sorridendole, ma tenendo la bocca chiusa, per non far vedere i denti: ne avevo vergogna. Il primo pensiero uscendo dalla bottega fu escogitare un modo per rientrare, che avesse però la naturalezza di un gesto quotidiano o del caso. Le feste comandate erano però finite ed esclusi fin da subito l’idea di comprare fiori a caso. Non avevo neanche qualcuno a cui chiedere consigli: tutti i miei amici avevano fidanzatine scialbe, non ancora donne, com’era la “mia fioraia”. Qualche sera, nascosto dietro l’angolo della strada, provai ad aspettare la chiusura per far finta di passare dalle sue parti. Più le lancette si avvicinavano all’orario e più forte sentivo il rumore nel petto e la bocca divenire secca, come la lingua dei gatti. Capii che non era la strada giusta e rinunciai, ma ero consapevole di tutto tempo trascorso e avevo paura che si scordasse di me, di quando andai a comprare la rosa più grande fra le tante nella bottega. E più mi arrovellavo, più il tempo passava e sfumava quella residua possibilità, piccola come un granello in un secchio di sabbia. Trascorsi insonne intere notti a rigirarmi nel letto e pianificare di tutto e il suo contrario. Mi svegliavo stanco, ma ogni giorno sempre più convinto che avrei dovuto provarci. L’idea divenne così ossessiva da sembrare concreta. “Dopotutto ha solo qualche anno più di me e poi, pur se non sono chissà quale bellezza, ho una buona dialettica, sono simpatico e dicono anche intelligente.” Inoltre avevo già superato l’esame per entrare nei Carabinieri. La scuola era finita e di lì a pochi mesi mi sarei arruolato e sarei diventato uomo più rapidamente. Non c’era dubbio che avessi tutte le carte in regola per conquistarla. C’era solo da portare a termine il primo passo, quello più importante. Fu una mattina, sotto la doccia, che presi la decisione di petto: “io sono io, non gli altri” mi dissi, mentre l’acqua tiepida mi scorreva sulla nuca e lungo la schiena, alludendo a tutti quelli che si accontentavano di una ragazza qualunque, magari la prima che aveva loro sorriso un po’ di più. Uscii presto, col fresco, indossando una semplice maglietta e un jeans, per farle capire che ero uno di sostanza, non di apparenza. Indossai anche un bell’orologio, perché i particolari sono importanti. Non avevo bene in mente cosa dirle, ma volevo incontrarla al momento dell’apertura, quando in strada c’è ancora poca gente e nel negozio non sarebbero arrivati clienti a disturbare. Quando però la vidi scendere da una moto guidata da un ragazzo un po’ più grande di lei, fu come aver ricevuto un calcio inaspettato alla bocca dello stomaco. Sentii la stessa contrazione, lo stesso dolore ed ebbi nausea. Mi mancarono respiro e forza nelle gambe e sudai così intensamente da sentire subito cattivo odore intorno a me. Mentre loro si salutavano sbaciucchiandosi sorridenti, io andai via. Non ebbi la forza di raccogliere i resti del mio favoloso castello in aria. Lo lasciai a terra, come un monito per il futuro che si alzava sull’orizzonte.

AM
Benevento, 20 febbraio 2020

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