E così anche quella sera preferii uscire, nonostante il vento portasse l’odore di pioggia, nonostante lo stomaco scalciasse per la fame, nonostante sentissi le gambe tremare per la stanchezza, nonostante fosse inverno pieno e avessi le labbra turgide per il freddo al punto da confondere il confine tra la carne e il rossetto.
Tirai alle spalle la porta fino a sentire il clic della serratura e scesi le scale senza accendere la luce né mantenermi alla ringhiera. A quell’ora di un qualsiasi giorno infrasettimanale le strade erano vuote e sull’umido dei basoli si riflettevano gli edifici e le varie luci lungo la strada: dalle insegne ai lampioni, dalle vetrine alle finestre. Sembrava come se avesse piovuto, ma era solo umidità stanca di vagare sospesa e precipitata al suolo. Il senso di solitudine era accentuato da un infinito silenzio di spazi desolati. Gli unici rumori erano i miei tacchi risuonati sui muri dei palazzi e la lontana eco del fiume. Nei fui inconsciamente attratta e mi diressi verso il ponte. Più camminavo e più cambiava l’umore. Ero scesa desolata, forse in cerca di qualcuno e ora mi stavo infastidendo della scelta, quasi mi sentissi stupida. Arrivai al parapetto con le mani in tasca e il passo nervoso di chi ha qualcosa da fare, ma non sa cosa sia. Il fiume scorreva corposo e mi diede fastidio anche il suo sordo rumore di fondo.
Accanto a me, appoggiato sul bordo del parapetto, c’era un fiasco impagliato, mezzo pieno di vino. Con l’istintiva voglia di scagliarlo lontano nel fiume, con rabbia lo presi per il collo, ma, nel momento in cui alzai lo sguardo per lanciarlo, fui attratta da una flebile luce. Giungeva da un vecchia torre piccionaia costruita a strapiombo sull’argine sinistro.
Mi incamminai attratta dalla curiosità. L’aria era intrisa dell’odore dell’erba e terra macerata dall’acqua stagnante accanto alla riva sottostante. Più avanzavo e più quella particolare fragranza diveniva intensa fino a diventare particolarmente fastidiosa. Giunta all’ingresso della sporgenza delimitata da un vecchia ringhiera, su cui era stata costruita la piccola torre, sentii una voce invitarmi: “Entra pure, ho un po’ di vino anche per te!” Lì per lì non mi parve strano, forse la curiosità aveva preso il sopravvento o forse speravo in un diversivo, in una serata terribilmente piatta. “Ti ho vista sai, mentre stavi per buttare la bottiglia. Ho fatto in tempo ad accendere la fiamma nella lampada per attirare la tua attenzione. Dammi qui, questo è vino pregiato, l’avevo lasciato lì per farlo assaggiare, non per farlo buttare. Dai, dammi la bottiglia e prendi un paio di bicchieri puliti, sono alla tua destra, in quel mobiletto basso.” Non ero riuscita a spiccicare neanche due parole, aveva fatto tutto lui e mi ritrovavo seduta su uno sgabello, con lui di fronte su un vecchio materasso o qualcosa di simile. In quel momento pensai che era stato un bene non indossare la gonna, mi avrebbe fatto sentire più a disagio. Versò il vino in un bicchiere, che poi alzò in controluce rispetto alla fiammella nella lampada a olio e disse: “Vedi, osserva bene, questo non è un semplice vino bianco, questo è ambra” e sorrise in attesa di qualcosa da parte mia, che però gli arrivò solo tramite una smorfia del viso. “Ho capito, non hai mai bevuto l’ambra. Allora inizia piano, annusandola. Poi, prima di farla scendere oltre la gola, tienila in bocca ed espira col naso. Sentirai, sentirai e mi dirai.” Aveva ragione lui, era buona ed espirando, saliva al centro della fronte un buon profumo, come un bouquet di fiori primaverili. Ne bevvi subito un altro sorso e poi un altro ancora, poi mi ricordai di lui e girai gli occhi per cercare i suoi, ma era impegnato a spostarsi e mi face una certa impressione: non aveva le gambe e usava le mani come piedi. Per bilanciare lo spostamento faceva ondeggiare leggermente il corpo da un lato all’altro. Pur sembrando quasi un faticoso esercizio ginnico, dal viso non si percepiva alcuno sforzo. Giunto presso un tavolino tondo e basso come quelli da salotto, ma decisamente meno elegante, accese un grosso cero dentro una lampada in legno e vetro e ruotò la base d’appoggio fino a far arrivare la luce il più possibile vicino a me. Quando ebbi il viso illuminato mi osservò a lungo gli occhi, senza parlare, ma senza crearmi imbarazzo, il suo non era uno sguardo indagatore, né malizioso. Facendomi quasi sobbalzare, d’improvviso interruppe così il silenzio al quale mi ero abituata: “Non dirmi che tutta questa tua tristezza proviene da una delusione amorosa?” Rimasi in silenzio e probabilmente sgranai gli occhi, perché notai una sfumatura di compiacimento nel suo sguardo. Aveva capito il mio malessere, ma dirglielo così su due piedi, senza neanche sapere chi fosse, non mi andava proprio e poi non ero certo il tipo di donna da dimostrare delusioni per colpa di uomini inetti. Ero pur sempre ancora affascinante, di quelle che hanno la fila di uomini, maschi di ogni estrazione sociale in attesa di un mio gesto per mettersi sull’attenti. Confessare le mie debolezze al primo venuto non era certo attinente né al mio ruolo e né al mio stile. A quell’uomo però non interessava più di tanto la mia reazione, difatti, dopo una breve pausa mi disse: “Tra poco arriverà qualcuno che voglio farti conoscere.” Subito dopo alla porta bussò una signora. Aveva l’aspetto malmesso, trasandato anche nel viso e magra come un’alice, ma con una voce carica di una inusuale dolcezza. “Ho cucinato un po’ in più e ho pensato che potesse piacerti.” disse all’uomo. “La tua cucina è ciò che mi tiene in vita!”, rispose lui sorridendo con un tono carico di un ringraziamento non espresso, ma tangibile ed emozionante. Lei ricambiò il ringraziamento con un silenzio riempito da un sorriso vibrante di stima. “Signora, ho qualcosa anche per lei.” “Per me?” chiesi io presa alla sprovvista. “Certo, porto sempre un pasto in più per chi si ferma qui la sera.” Rimasi interdetta e mi venne spontaneo guardare il mio ospite, ma non ebbi modo di chiedergli nulla, perché lui mi anticipò “Forza su, non avere imbarazzo e poi la mia amica è un’ottima cuoca e cenare qui sul fiume è un privilegio che neanche tu hai mai avuto!” Aveva ragione, non avevo mai cenato in un posto così particolare, con un’atmosfera da fare invidia a quelle delle scene romantiche dei romanzi. Non mi fermai per questa ragione, molto più semplicemente perché lui mi faceva sentire bene e anche la sua amica trasmetteva serenità. “Raccontami di tuo marito e tuoi ragazzi.” “Purtroppo c’è poco da fare. Stamattina i dottori hanno detto che dobbiamo solo attendere e pregare per preparare la sua anima. I ragazzi sono grandi più della loro età e hanno compreso bene tutto.” disse lei con un tono della voce che non trasmetteva rassegnazione, ma accettazione e poi concluse “so bene che sul pregare non sei d’accordo, ma è un argomento sul quale non ci troveremo mai.” Lui non rispose, ma con una forza e un’agilità che non mi aspettavo da una persona della sua età, usò le braccia come leve e si portò prima su uno sgabello basso, da lì su un sedia e poi sul mobile dal quale avevo preso i bicchieri. Era giunto all’altezza della donna e l’abbracciò senza parole, avvolgendola tra le sue robuste braccia. Non parlarono, lei chiuse gli occhi e ricambiò l’abbraccio. Restarono così fin quando la donna disse: “Ora devo andare”. Mi salutò con grazia e svanì subito dopo l’uscio. Con la stessa agilità e rapidità di prima, l’uomo tornò a posizionarsi davanti a me, preso il vassoio con i piatti e me ne porse uno. Mangiammo senza parlare, io ero totalmente stranita, lui dimostrava serenità. Mi offrì altra ambra e terminammo insieme il pasto. Riposi i piatti di entrambi sul vassoio, lui non si intromise, attese che tornassi al mio posto e iniziò a parlare senza preamboli: “Ho molte amiche nella tua stessa situazione: donne intelligenti, indipendenti, affascinanti e con un carattere ben definito, che per varie vicissitudini si ritrovano in un momento di solitudine affettiva. Alcune di loro provano uomini differenti, alle volte con una semplice frequentazione, altre volte con una relazione più sessuale che sentimentale. Non condanno nessuna delle due, sia ben chiaro. Ciò che invece spesso noto è la mancanza di innamoramento che diviene amore quando anche l’altra parte ricambia. È come se le scottature della vita avessero chiuso i cancelli degli affetti verso una persona estranea al proprio mondo. Questo è secondo me il vero problema. Molte di loro iniziano a frequentare qualcuno non perché ne siano innamorate, ma perché “potrebbe” fare al caso loro in base a parametri di varia natura: dalla sicurezza economica, al fisico, al fatto che sia divorziato o nubile, che abbia figli o meno, ecc ecc. Mai una di loro che mi abbia detto d’essersi innamorata e mai una di loro che poi sia stata felice dell’esperienza. Per tale ragione ripeto come un mantra che bisogna lasciarsi fluire, essere se stesse, andare nella direzione per cui siamo naturalmente portati, sia per carattere che per cultura. Ciò non vuole assolutamente significare essere zerbini, come innamorati fessi di qualcuno, ma semplicemente lasciare che sia la nostra essenza a guidarci e non le regole che ci siamo imposti per via delle delusioni. Sicuramente con una maggiore attenzione, ma senza troppe inutili pensieri e sovrastrutture. Solo così potremo entrare in contatto con la persona giusta per noi. Se ci mascheriamo dietro un muro, non saremo mai realmente naturali e ci vedranno sempre per ciò che non siamo. E ricorda piccola mia, nella vita i momenti difficili superano quelli sereni, se non c’è vero amore, come pensi di affrontarli e superarli? Per questa ragione ho voluto farti conoscere la mia vicina. Secondo te, dove trova la forza per curare un marito terminale e i figli giovani? E poi cara amica mia, non vale la pena piangere per chi non piangerebbe mai per noi! Ricorda: c’è uno sconosciuto dentro molti di noi, che dobbiamo solo imparare a conoscere. Inizia stasera, chiedigli chi è, come si chiama, cosa gli avrebbe fatto piacere fare, cosa ha fatto e dove conduce realmente il suo cuore. Scoprirai tanti aspetti di te, che ancora non conosci. Ah, un’ultima cosa: se scoprirai che la persona di cui sei innamorata è già impegnata, non abbatterti. Esistono tante espressioni dell’Amore, se è genuino, limpido e sincero, troverete un modo per condividerlo.”
Non risposi nulla, perché iniziai da subito a pensare a quelle parole. Appoggiai la testa e le spalle alla parete dietro me e chiusi gli occhi.
Il mattino seguente mi svegliai con il rumore delle persone che vociavano indaffarate sul marciapiedi lì vicino e i motori di auto, corriere e moto sulla strada. La stanza era totalmente vuota, non c’era nulla della sera prima, neanche l’odore dell’olio della lampade o della cera consumata. Di lui mi ritornavano però in mente le parole, che risuonavano usando la mia testa come una cassa armonica. Provai a chiamarlo, ma non sapevo neanche il suo nome. In alto, attraverso i mattoni traforati per i piccioni, entravano obliqui i raggi del Sole evidenziando i granelli di polvere sospesi nell’aria. Prima di uscire, guardai dove mi ero addormentata e vidi il bicchiere da cui avevo bevuto la sera prima. Lo raccolsi e annusai: profumava d’ambra. Lo riposi in borsa e m’incamminai. Dal parapetto un anziano stava urinando nel fiume, lo sentii borbottare, ma non gli diedi retta, sfilai le scarpe con i tacchi e iniziai a correre verso casa.
Alfredo Martinelli
Benevento/Diamante 10 luglio 2020
AM
Diamante, 11 luglio 2020