Ho sempre ritenuto l’Amore un sentimento troppo serio per poterne parlare liberamente, come accade nella stragrande maggioranza di poesie, canzoni e libri che ho letto e ascoltato. Nel confrontarmi con autori giganteschi della letteratura e dell’arte in generale, ho capito che mai mi sarei potuto avvicinare a loro per purezza o comunque avrei scritto qualcosa di già espresso, producendo una sorta di brutta copia. Tutto ciò mi ha spinto a darmi alcune regole, che nel tempo potrei quasi dire si siano trasformate in stile personale. Una di queste è esprimere il sentimento dell’amore senza citarlo direttamente o con sinonimi, ma solo evocandolo con descrizioni di momenti e stati d’animo.
Per esercitarmi e trovare la giusta ispirazione da trasferire successivamente nei racconti, la scorsa primavera, senza alcuna cadenza programmata, ho scritto brevi frasi con cui concludevo alcune giornate social, pubblicandole la sera prima di interrompere tutte le connessioni telematiche.

Poi è accaduto che, una fresca alba dello scorso settembre, nella fase intermedia fra il sonno e la veglia, quando ancora la ragione non carica tutti i pensieri, gli impegni e le preoccupazioni della giornata, ho avuto una sorta di sogno lucido o visione: pur se inizialmente slegate fra loro e senza un apparente filo conduttore, in quel momento ho realizzato che, in realtà, le frasi avevano tutte la stessa ambientazione e, se le avessi messe nella giusta sequenza, avrebbero dato vita a un racconto breve. Contestualmente ho “visto”, più che immaginato, disegni ad acquerello che interpretavano le fasi del racconto ed erano i disegni di Alfonsina.

Ancora assonnato e seduto sul letto, quella stessa mattina ho scritto ad Alfonsina Paoletti e le ho riversato tutti i pensieri, cercando di dar loro una forma comprensibile. Ci siamo sentiti subito al telefono perché aveva accettato su due piedi, quasi sulla fiducia. Insieme abbiamo capito che l’aiuto di Lillino Paternostro sarebbe stato fondamentale per la buona riuscita dell’opera e abbiamo iniziato a lavorare quello stesso pomeriggio. Dopo qualche giorno è giunto anche il titolo: “Estreme congiunzioni“, scelto da Adele D’Aronzo, che legge con amichevole pazienza e saggezza ogni testo da me ritenuto importante, prima della divulgazione.

Delle difficoltà di routine non scrivo, perché sono scontate, ma della serata di presentazione ufficiale sì, perché è stato il coronamento di un intenso percorso: il 12 novembre 2017, co-organizzato da Milena di Rubbo e dall’associazione culturale amArte, nelle sale della Rocca dei Rettori di Benevento, c’erano tante di quelle persone giunte per noi, che non tutte sono riuscite a entrare e molte sono rimaste in piedi. La presentazione è stata magistralmente condotta da Laura Coletta con la quale ho oramai un’ottima intesa basata sulla reciproca stima. Le tavole del racconto erano tutte in file, disposte su pannelli in compensato ed erano proprio come le aveva immaginate tre mesi prima.

A tutti loro va il mio più sentito ringraziamento per aver condiviso e portato a termine, quel che, nella fase embrionale, ai più poteva sembrare solo uno strano pensiero mattutino.

AM
Benevento, 20 novembre 2017

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