interni macello

Da ragazzo ero convinto che fosse solo una leggenda. Crescendo, di quell’agghiacciante particolare, lessi prima nei romanzi, poi in alcuni articoli su giornali e riviste. Casualmente mi imbattei più volte in persone che sull’argomento mi riportarono testimonianze dirette di loro conoscenti. L’elemento comune era sempre lo stesso: poco prima di morire molti individui avevano confessato di provare uno strano e funereo presagio. Chi tra i morituri non lo aveva confessato, aveva avuto comportamenti insoliti. Ma per me quell’inquietante sensazione di morte imminente, restava sempre una sorta di leggenda metropolitana, al pari dei coccodrilli nelle fogne delle megalopoli e la vita extracorporea durante la fase del coma profondo.
Ora però posso confermare con certezza tutta la mia precedente superficialità di approccio all’argomento.
Ma veniamo ai fatti.
Ricordo perfettamente che quel giorno era iniziato simile a tanti altri: sveglia regolare, colazione nella norma e poi al lavoro, con i pensieri e le responsabilità di sempre. Verso metà mattina percepii salire nitida dal centro della pancia e propagarsi lungo tutto il corpo una particolare inquietudine, che ben presto divenne smania di fare a tutti i costi qualcosa di diverso. Pensai fosse solo stanchezza e uscii per fare due passi all’aria aperta, ma dopo poco aumentò il senso di disagio, come quando sai bene di stare sprecando il tempo e vorresti rimediare in qualche modo, ma non ti è possibile. Dovetti girarmi e aumentare il passo per correre verso l’ufficio, ma più correvo e più saliva quell’indecifrabile e angosciante sensazione di imminenza. Lasciai le chiavi nella toppa e la porta aperta. Spalancai tutte le finestre e bevvi direttamente dal rubinetto per poi mettervi la testa sotto, sperando servisse a qualcosa. Solo nel guardarmi allo specchio, nel vedermi con la testa bagnata, le ciglia umide, con i rivoli sul volto come se stessi piangendo e chiazze d’acqua lungo tutta la camicia, capii cosa stava per accadere: sarei morto quello stesso giorno e ne avevo assoluta certezza.
D’improvviso scomparve la necessità di fare a tutti i costi qualcosa e sentii rammollirsi ogni singolo muscolo del corpo. Ripresi fiato appoggiando le mani alla parete e protendendo il corpo in avanti, col viso rivolto verso il basso. Quando pensai di avere forza a sufficienza nelle gambe, mi spostai nella stanza della scrivania. Presi un blocco di carta e provai a scrivere qualcosa, tipo una lettera da lasciare o un promemoria per chi l’avrebbe letta, ma non mi venne nulla. Guardai l’orologio ed era già ora di pranzo, così preferii tornare a casa per vederla un’ultima volta e lasciarla in ordine.
Per strada incontrai una cara amica, mi lesse in viso e chiese cosa non andasse. Addebbitai tutto alla stanchezza di quei giorni. Non mi parve pienamente convinta e ci lasciammo con l’intesa di rivederci a breve. Giunto a casa tutto mi parve più luminoso. Tutto in quel momento era più bello, perfino l’umidità attaccata in un angolo del soffitto e il perenne disordine della mia camera. Raccolsi i panni stesi e ormai asciutti, lavai i piatti della colazione mi cambiai, indossando qualcosa di più informale, poi andai alla scrivania del mio piccolo studiolo, mi sedetti, accesi la “ministeriale” e iniziai a sfogliare i quaderni e i blocchi di fogli presi dalla cassettiera dei lavori in corso. Non ebbi alcun cedimento emotivo, forse perché lo stavo cercando e non sarebbe stato naturale o forse perché mi stavo già abituando all’idea e ciò mi stava facendo sentire la distensione dovuta alla mancanza di responsabilità, che il trapasso mi avrebbe concesso come contropartita: avrei perso la vita, ma almeno avrei smesso di lottare ogni giorno per qualunque cosa volessi fare o fosse semplicemente un mio sacrosanto diritto avere. Mi alzai e andai in bagno per guardarmi nuovamente allo specchio. Stavo già visibilmente meglio. Mi pettinai con la cura di chi sta per avere un appuntamento galante, lavai le mani e andai a preparare un caffè, che bevvi seduto su uno dei letti nella camera dei ragazzi. Intorno c’erano i loro poster, i loro libri, alcuni piccoli accessori e sulle scrivanie ognuno aveva un foto con me. Non toccai nulla e anche stavolta non mi venne nulla da scrivere. Non ebbi voglia neanche di entrare in contatto con loro. In quel momento sarebbe stato quasi impossibile, inoltre ebbi paura di emozionarmi e non volevo lasciare di me un ricordo fragile. Controllai nuovamente l’ora. Pur non sapendo quando e come tutto sarebbe accaduto, iniziò a salirmi la tensione. Ripresi la concentrazione sul percorso da fare e uscii.
Istintivamente presi la direzione verso la periferia della città. Strada facendo, iniziai a velocizzare il passo, che in breve divenne una corsa leggera. Cambiai direzione e puntai lungo il fiume. Vicino al punto in cui si entra in città c’è un macello di carne suina e pensai che sarebbe stato un buon posto per morire. Giunto sul luogo era ormai pomeriggio inoltrato, mi appostai all’esterno per capire quando superare il cancello senza essere notato e così feci alla prima occasione utile. Una volta dentro scrutai rapidamente per capire dove nascondermi. Vidi una stanza frigorifero con il doppio maniglione, per entrare e uscire senza il rischio di restare chiusi all’interno. Mi attrasse l’idea di rifugiarmi lì e seguii quel che mi stavano indicando le sensazioni provenienti dalla pancia.
Non passò molto tempo e le luci iniziarono a spegnersi in tutti gli ambienti. Lo capii dal rumore sordo che udii quando si spensero quelle nella mia stanza e che avvertii in lontananza ad ogni successivo spegnimento. Lasciai trascorrere un altro po’ di tempo. Mi affacciai quando non udii altri rumori. Raggiunsi a memoria la porta, che si aprì come avevo immaginato. All’esterno c’erano poche tenui luci poste in alto e dalle vetrate entrava un po’ di bagliore notturno proveniente da una porzione di Luna piena visibile da uno dei finestroni. In quel momento ero solo tra tanti cadaveri di maiali ammucchiati o appesi in stanze simili a quella dov’ero stato. L’odore di sangue era intenso, ma lo resi sopportabile con la forza di volontà.
Girai i vari ambienti in cerca di qualcosa, che non sapevo neanche io cosa fosse, ma forse era solo un modo per ingannare l’attesa. Il tempo mi parve immobile. Intorno tutto era silenzioso e placido, come qualsiasi altro cimitero. Non sapevo che ore fossero, ma che stessero lentamente trascorrendo ne ero certo, perché lo vedevo attraverso la posizione della Luna, ora ben visibile oltre la prima vetrata. Fu quando giunse alla terza finestra, che fui preso dalla voglia di andare in bagno. Mi ero quasi appisolato appoggiato in un angolo di una specie di ufficetto e lo stimolo mi costrinse ad alzarmi per cercare la toilette. Pur non essendo tanto più convinto del motivo per cui mi ero chiuso lì dentro restai seduto ben oltre il tempo necessario per la minzione e capii d’essermi semplicemente autosuggestionato. Probabilmente il peso del lavoro, sommato ad alcune delusioni personali, avevano iniziato a incrinare la mia spessa armatura caratteriale, lasciando penetrare suggestioni. Di lì a poco avrebbe iniziato ad albeggiare e mi alzai per iniziare a valutare come andar senza essere visto. Avevo uno stato umorale tra il disilluso e il rasserenato, pulii tutto e mi avviai all’ingresso dal quale ero entrato nel pomeriggio, sperando di poter uscire senza problemi. Con la vista abituata alla luce scarsa non mi fu difficile giungere al grande portone scorrevole.
La Luna nel frattempo aveva fatto il giro e ora il suo bagliore entrava dai vetri opachi dell’ingresso creando luminosi quadrati allungati sul pavimento, all’interno dei quali netta si stagliava la mia sagoma ritagliata dalla luce. Fu nel preciso istante in cui afferrai con entrambe le mani il maniglione dell’enorme porta scorrevole, che la gigantesca ombra di una bestia, ringhiando paurosamente si avventò contro la superficie esterna. L’urto fu così violento da innescare una scossa capace di estendersi lungo tutte le superfici interne del caseggiato. Vibrarono all’unisono le vetrate e le pareti leggere dei magazzini. Si sentirono i rumori metallici dei ganci sui cui venivano appese le carcasse dei maiali. D’istinto mi buttai all’indietro e caddi col culo a terra. Per qualche istante il terrore mi bloccò il corpo, ma la mente corse rapida a rileggere uno dei tanti articoli letti da ragazzo, di cui rammentai anche le virgole: “Sono tante le forme con cui la Morte si presenta. Per gli uomini giusti è una bella donna che li accompagna nel loro ultimo viaggio, per le donne giuste è un bell’uomo. Per i bambini è un loro coetaneo che li invita a giocare, per i maledetti è un’ombra con la falce. È una Bestia quando viene mandata a scegliere a caso, senza un criterio, ma solo per riempire i posti liberi del traghetto sull’Ade.
Mi sentii un idiota che muore da idiota e, mentre cercavo una ragione a una morte così idiota, la Bestia aveva iniziato a spingere col muso sul maniglione. L’intenso vapore acqueo del suo agghiacciante ringhiare già di infilava nella fessura. Mancava poco e si sarebbe compiuta la mia fine. Quell’inquietante sensazione si sarebbe concretizzata e di lì a poco mi sarei ritrovato in un’altra dimensione o finito per sempre.
Non ricordo bene come mi alzai, ma ricordo che mi gettai a capofitto nel freddo magazzino con le carcasse di maiale, dove mi ero nascosto appena entrato. Purtroppo non ci volle molto e sentii la Bestia sbattere anche contro la porta per entrare dove mi ero rifugiato. Questa volta le fu sufficiente spingere sulla maniglia per poi annusare ogni carcassa. Io chiusi semplicemente gli occhi.
All’alba ogni rumore era cessato da tanto tempo e decisi di uscire dal ventre di uno dei tanti maiali morti nella stanza. Il corpo di quello in cui avevo riposto tutti i miei vestiti non c’era più. Io indossavo ancora il sacco di iuta sporco di sangue di maiale. La Bestia era stata tale fino alla fine, senza aver idea di quel che stesse facendo, mentre io avevo ancora tanto da fare e persone a cui sarei stato ancora di aiuto. Non mi ero ancora rassegnato dell’esser nato.

AM
Benevento, 10 marzo 2022 [rev. 27/09/2022]