Bene o male sappiamo che in molti casi l’arte è la metabolizzazione di un proprio malessere. Alle volte si trasforma in una vera e propria opera in grado di essere fonte di ispirazione, di benessere e spro e, altre volte resta fine a se stessa.
La poesia performativa non è da meno.
È per me uno dei dei risultati più importanti che consegue chi partecipa attivamente al movimento della performance live, anche solo nei momenti di espressione libera e non solo in gara.
Per essere chiari: io sono a favore di qualsiasi espressione artistica come strumento della ricerca di sé e liberazione dai propri fantasmi, paure e incertezze.
Capita però che chi organizza e conduce un lungo campionato regionale slam, senta ogni forma di malessere altrui, elaborato nei modi e tematiche più disparate.
Sono rari i casi di testi goliardici/ironici e ancora più rari, anzi quasi nulli, i performer che tessono lodi all’Amore nel tempo presente, relegandolo più spesso a una forma di malinconia per qualcosa che non c’è più.
Va benissimo così, anzi continuate, perché fa bene a tutti, dal performer al pubblico, che si trova meno solo e più confortato, nel sapere che c’è qualcuno che ha vissuto e condivide lo stesso sentimento.
Però, così come lo psicologo che ascolta i vari malesseri dei pazienti a sua volta ha un psicologo di riferimento con cui confrontarsi, anche a noi MC dovrebbe essere concessa tale risorsa.
Detto ciò, vi aspetto alle serate di slam poetry, perché le emozioni condivise dal vivo, da persone reali e non costruite dietro una sceneggiatura, sono un arricchimento difficile da trasmettere se non vissuto in prima persona
In foto sono con Stella Iasiello, con cui ho condiviso la maggior parte degli slam da quando sono nel circuito
La foto è di Pasquale Foggia
