Non sono tipo da gradi, medaglie e stellette, esiste però qualcosa che mi piace mostrare, come ad esempio i pensieri di Carlo Di Legge, che individuano i miei durante la scrittura::
“Caro Alfredo,
sembra che vengano considerate soltanto le recensioni a libri, ma io preferisco rispondere a un libro, come fosse una lettera, un messaggio. Semplicemente e in amicizia. A dirla tutta, i critici mi spaventano anche un po’.
Ho finito oggi di leggere il tuo libro. L’ho letto spesso con piacere, e forse i tratti a me non del tutto chiari son dovuti a mia approssimazione (ho letto una sola volta e noi siamo problematici non solo nello scrivere ma anche nel leggere: quindi rileggerò). Dunque sono stato “colpito” , in particolare, da Racconto a due mani, e, nella loro concisione, da Quando vi sveglierete, Prima che arrivi, Il secondo respiro, lo stesso La quarta dimensione, e poi Come nel ventre, Tre soldi, Le scale larghe del mercato, Lo scuolabus (una specie, una dimensione dell’horror).
Il tuo realismo si dichiara nel riferimento ai corpi, al corporeo, agli aspetti abitualmente più trascurati perché imbarazzanti come feci, vomito (e sangue). Ricorrono di continuo, con le immagini dei corpi straziati nei ricordi di guerra. Siamo fatti in questo modo, sembri dire: siamo così, questa è l’umanità. O, meglio, è anche questo, e non va bene dimenticarsene, perché proprio a partire da questa povertà di liquidi, escrementi, ostacoli della nostra natura vera e propria, procede qualcosa che poi fa la nostra unicità, qualche specie di nostra grandezza.
Hai dato voce a vite che altrimenti sarebbero restate inascoltate e dimenticate, lo hai fatto perché non morissero (muore solo chi viene dimenticato); ma lo hai fatto a tuo modo, ovviamente.
Ma è anche, il tuo, realismo magico (molto diverso da quello della nostra scrittrice, a suo tempo celebre, premio Nobel per la letteratura, Grazia Deledda): perché s’interessa della dimensione del magico, nell’evocazione della strega (janara?) seduta sull’uomo, e non solo; perché si riferisce a poteri o fatti soprannaturali, come nel bel racconto di apertura dove il ragazzo, non potendo realizzare come uomo il proprio amore, si trasforma e agirà in vento (“ero sospeso e mi muovevo leggero come una piuma nel vento”) o anche nell’altro, Come nel ventre, dove la facoltà sopra natura consiste nel ricevere i pensieri di chi muore come fossero parole: “mi sentii trapassare dalle voci dei pensieri delle vittime … ”.
Questi due ultimi racconti li hai ambientati nel periodo della tragicissima seconda guerra, e questo contesto conferisce loro un’aura molto particolare, in cui il riferimento soprannaturale si mescola in modo interessante, unico, con la denuncia della bestialità della guerra, dell’inutilità del dolore e di quelle morti gratuite, improvvise. A proposito di quel che si diceva a Benevento lo scorso 13 novembre.
Sicché, perché in quella dimensione della guerra si possa realizzare l’amore, necessita che di fatto esso non sia, o che sia in “un luogo fuori dal mondo, nato dalla voglia di essere pura essenza ed espressione d’Amore, senza i vincoli di una società incapace di capire chi è diverso”. Non per nulla, il protagonista è non più uomo ma vento, e la protagonista […].
Sono crudi e incantati, ma anche molto delicati, in particolare il primo, nel narrare la rarità come di gioiello unico e la costanza dell’amore che non tradisce, quello dei protagonisti. Ho ammirato che una donna in età da marito possa amare il suo uomo, fattosi vento per non poterla avere da uomo, fino alla morte: in virtù d’una semplice promessa forse mai formulata. Non serviva. Ed è questa come un’aura, dicevo, d’altro tempo.
Potrei continuare, anche a lungo, se minimamente entrassi nei personaggi e nelle caratteristiche dei racconti che ho menzionato, cioè del tuo modo di raccontare. Senza fronzoli, semplice ed essenziale per dire cose di magìa e soprannatura, quindi avvincente, con qualche (ma raro) carattere di stile riferito a scritture e modalità di racconto di un tempo andato ma, sembrerebbe, appena ieri … dunque ancora alle porte, che non vuole andare del tutto.
Mi pare che tu ci sia spesso riuscito, a non farlo andare, quel tempo, a farlo restar presente. E anche a rendere una tua maniera di sentire.
Un abbraccio.
Carlo (Nocera Inferiore 2 dic 2016)”
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