alfredo antonio jovana belgrado

Era quasi Natale, ma sembrava inizio primavera. Eravamo in una capitale balcanica, su invito diretto dell’istituto Italiano della Cultura del luogo. Sì, hai letto e capito bene: avremmo rappresentato la cultura italiana all’estero … niente battute cortesemente, neanche solo col pensiero, grazie.

Il giorno dell’evento, che ci sarebbe stato nel tardo pomeriggio, lo trascorremmo in giro. Come due bravi viaggiatori percorremmo in lungo e in largo la capitale che ci stava ospitando, mangiando qualcosa al volo, ma solo per tamponare lo stomaco e non appesantirci troppo, anche perché a chiusura del nostro intervento era previsto un lussuoso buffet.

Osservando e camminando ci immergemmo fin troppo nel girovagare, al punto da ricordarci del nostro dovere giusto in tempo per tornare in albergo, sistemarci alla meglio e puntare dritti verso la sede dell’Istituto. In attesa del nostro arrivo erano già sul posto gli organizzatori e la chitarra che avevo chiesto, per evitare di imbarcare la mia sull’aereo.

In sala c’era il giusto fermento, quello che dà la carica, il carburante giusto per farci rendere al meglio e non ci furono momenti calanti. Tutto si svolse alla perfezione, compresi gli interventi di libera performace del pubblico, da noi stimolato nei punti e con i modi giusti.

A fine serata gli organizzatori erano molto contenti e ci dissero che non sarebbe finità lì, perché ci avrebbero portato fuori per consumare qualcosa offerta da loro.

Però, data la mia giovane età e su consiglio della pediatra, io “devo” mangiare ogni tre ore, così ,incurante dell’invito, mi avvicinai come da programma al buffet … e … proprio in quel momento entrò in azione il mio compagno di viaggio: “Alfre’, dai, sembra brutto mangiare, ci hanno inviato a prendere qulcosa fuori con loro!” mi disse con un leggero tono di rimprovero.

Confesso che rimasi male, ma abbandonai ugualmente il buffet.

Uscimmo poco dopo con destinazione uno dei locali dove servono una delle migliori Rakija della città. Qualora tu non conosca la Rakija, sappi che è un liquore simile alla grappa, proveniente dalla distillazione delle prugne. Un vero pugno allo stomaco quando si è digiuni e noi lo eravamo.

Ma una sola Rakija non è sufficiente, così come un solo locale non è adatto a far capire le differenze aromatiche e di distallazione delle differenti versioni del liquore. Così girammo diversi locali e bevemmo diverse Rakija, con l’unico effetto positivo di divenire immuni al freddo di un notturno dicembre nei Balcani. Il peregrinare tra locali si interruppe quando, giunto quasi allo stremo delle forze, notai un supermercato notturno. Lì sopraggiunse quel senso di sopravvivenza che mi ha spesso soccorso in situazioni estreme. Ebbi la prontezza di dire al collega: “Tu intrattienili, al resto penso io!

Uscii dal supermercato con l’unico elemento commestibile individuato che non fosse a base alcolica. Lo consumammo camminando qualche passo dietro l’allegra comitiva e strada facendo Antonio mi disse: “L’avresti mai detto che un giorno avresti mangiato pane raffermo di notte a Belgrado?

AM
Benevento, 2 luglio 2024