tra scilla e cariddi

Un’estate di qualche anno fa, durante una delle mie prodigiose verticali tra i flutti del mare, un’onda un po’ più intensa mi fece perdere stabilità. Spostai le mani nel tentativo di non cadere, ma trovai sotto i palmi alcune pietre poco stabili, che si mossero e mi fecero cadere. Il tutto produsse un’intensa mia craniata sul fondale.

Mi riazai quasi all’istante con l’intento di assumere l’aria indifferente di chi si trova per caso in quei luoghi, ma alcuni bagnati mi dissero che avevo il volto coperto di sangue. Non sentivo dolore e uscii infastidito dal mare, per evitare di far uscire gli altri, sui vilti dei quali lo stupore iniziale stava lasciando il posto a smorfie di ribrezzo. Presi la maglietta rossa lasciata sulla spiaggia e mi tamponai la ferita. Mentre camminavo sulla sabbia per andar via e cercare un posto dove potessero ricucirmi, le persone si aprivano davanti come il Mar Rosso al passaggio di Mosè: tutti immaginavano che la maglietta fosse rossa perché impregnata di sangue e avevano paura di un tale individuo. Per fortuna trovai un tizio che mi accompagnò all’ospedale più vicino.

Posto in cima a una montagna, era totalmente isolato dal resto del paese. Aveva le sale enormi, e stanze vuote, percorse dalle correnti d’aria alimentate da tutte le finestre aperte. Dopo un primo rapido esame, fui affidato a all’infermiera presente in quel momento al Pronto Soccorso: sembrava il prodotto della fantasia di una fiaba dei fratelli Grimm. Bassa, tozza e barbuta, mi intimò di seguirla. Giunti in un luogo isolato, in cui anche il distributore del caffè era coperto di polvere e ragnatele, mi ordinò di abbassare il costume (ancora zuppo di mare) per iniettarmi l’antitetanica.

Degludii come in alcune scene di film, alché lei incalzò: “Allora ci vogliamo muovere o ti serve qualcuno che ti tenga la manina?” Abbassai il costume rimanendo così con le chiappe all’aria e tutto il resto del corpo nudo e bagnato, mentre sulla fronte continuavo a tenere schiacciata la maglietta rossa. Attesi l’ago, ma non sentii nulla, al punto che dovette lei dirmi di aver finito, perché mi vide ancora rigido e concentrato. Poi lei stessa mi diede poi indicazioni sul dove andare e mi ritrovai al cospetto di un medico, più basso e ancor più magro di me e dalla faccia pignola come alcuni personaggi di Verdone. Poiché il taglio era sulla fronte, gli chiesi la cortesia di avere accortezza nel ricucire, per evitare in futuro una cicatrice troppo evidente. “Le garantisco che non si vedrà nulla e se glielo garantisco io ci può credere!” mi disse con un pizzico saccenza. Potevo far poco, mi affidai.

Steso sul lettino vidi un telo verde coprirmi il viso e poi sentii nitidi i passaggi dell’ago e il cucire, tenere, allungare e tirare il filo. Non ricordo quanto tempo durò, ma mi andò bene. All’uscita mi dissero che era un chirurgo plastico, casualmente di turno quel giorno.

AM
Benevento, 11 maggio 2022