Alla pioggia eravamo pronti, da un po’. L’avanzare marziale delle nuvole dai monti non dà adito a dubbi e noi siamo tranquilli: i paletti della tenda sono ben saldi nel terreno e i teli hanno la giusta inclinazione. Alle prime gocce ci avviciniamo l’un con l’altro e decidiamo di giocare a carte per ingannare il tempo. Quando però la pioggia aumenta l’intensità, sento la forte necessità d’uscire e farmi bagnare. Mi svesto di tutto, scarpe comprese, lasciando solo il costume, di quelli neri a pantaloncino senza tasche. Prendo la bicicletta e mi immergo nell’acqua. La prima sensazione è di freddo: le labbra tremano e irrigidisco i muscoli per trattenere il calore del corpo. Poi il pedalare mi aiuta a scaldarmi. Ora non ho più freddo, ma solletico. Le gocce sono diventate più grandi e sembrano tante dita sulla pelle, come se fossi la tastiera di un pianoforte suonato a quattro mani. Mi inerpico su quel che sembra essere un sentiero verso la scogliera. L’acqua scorre come se fossi nel greto di un torrente, non vedo bene dove dirigere le ruote. Spesso qualche sasso si muove, dando la sensazione di farmi perdere l’equilibrio. Pedalo con prudenza, fra il bordo alto degli scogli e il mare c’è tutta una linea frastagliata di guglie rocciose, che non tratterebbero bene il mio corpo in caso di caduta.
La pioggia è ora così intensa che non riesco a tenere gli occhi totalmente aperti. In alcuni tratti l’erba è scivolosa e mi costringe a manovre al limite, le ruote slittano spesso e, alle volte, scivolano dal bordo al centro dei canali pieni d’acqua piovana. Con più fatica del previsto sono arrivato al centro del promontorio nel mare e sento un nuovo profumo.

La polvere delle onde spumate sugli scogli, si mischia alla pioggia, che scende dalle basse nuvole. Una densa e animata nube di pulviscolo acquoso cesella l’intero perimetro della scogliera, mentre il vento sparge particelle di un odore mai sentito.
Mi fermo nel punto più lontano: sono in mezzo al mare, sferzato dalla pioggia e dal vento. La pelle si è abituata e la bici sembra essere un’estensione naturale del corpo. Intorno a me non c’è anima viva, neanche i soliti uccelli marini. In lontananza le luci degli hotel e delle case si vedono sfocate come attraverso un obiettivo regolato male. Respiro a pieni polmoni e deglutisco l’acqua che mi cade in bocca. Sono solo, ma mai così tanto vicino a Dio.

AM
Benevento, 19 agosto 2018